Noi viviamo fra due pericoli: l'eterno gemito del nostro corpo, 
che trova sempre un corpo acuminato che lo trafigge, 
un corpo troppo grande che lo penetra e lo soffoca, 
un corpo indigesto che lo avvelena, un mobile che lo urta, 
un microbo che gli provoca una pustola; 
ma anche l'istrionismo di coloro che mimano un evento puro
e lo trasformano in fantasma, 
e che cantano l'angoscia, la finitudine e la castrazione [...]. 
Fra le grida del dolore fisico e i canti della sofferenza metafisica, 
come tracciare il proprio sottile cammino stoico che consiste nell'essere degno di ciò che accade?
 
